La commozione di Giancarlo Giorgetti in Aula e la festa di Matteo Salvini venerdì in Veneto con Luca Zaia. Il partito fondato da Umberto Bossi centra l’obiettivo di 40 anni di battaglie autonomiste e si ‘ritrova’ nella realizzazione del “sogno”, come azzardano a definirlo diversi parlamentari: alle 7.40 di un caldo mercoledì di giugno arriva il via libera al ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. È già mattina quando, sventolando le bandiere regionali, ‘must’ del pratone di Pontida, i deputati posano per una foto con il ministro degli Affari regionali, il padre della riforma, che non ha mai abbandonato l’Aula durante la seduta fiume di undici ore che si è protratta nella notte.
L’ evento è festeggiato soprattutto dai governatori lombardo e veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia. Fontana fa sapere che chiederà subito di trattare con lo Stato per il trasferimento di competente per otto materie, di cui due importanti, sanità e ambiente. Zaia probabilmente nove.
A un tratto sembrano lontani gli anni della dichiarazione di indipendenza della Padania, i cori ‘Secessione’, i manifesti con la gallina padana che faceva le uova d’oro, che finivano tutte nel grembiule dalla contadina romana (fine Novanta). Come di un’altra era politica appaiono la Devolution, ampia riforma costituzionale bocciata dal referendum nel 2006, e il federalismo fiscale, sempre ‘made in Calderoli’, mai realmente attuato (inizi 2000).
La via dell’autonomia differenziata nasce in Veneto, con i tentativi – due, prima del 2014 – di indire un referendum sul tema. Nel 2014, appunto, Zaia ha l’intuizione di approvare una legge referendaria che interrogasse i cittadini sul quesito ‘Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite nuove forme e condizioni particolari di autonomia?’. La legge è impugnata dal governo di Matteo Renzi, ma, a sorpresa, nel luglio del 2015, la Corte costituzionale dà ragione al Veneto e apre la via per il referendum consultivo, che si tiene il 22 ottobre 2017 anche nella Lombardia di Roberto Maroni.
Ai leghisti si affianca il governatore dem Stefano Bonaccini, ma senza referendum, mentre il campano Vincenzo De Luca dice di non avversare il progetto, che fa comunque riferimento agli articoli 116 e 177 della Costituzione, oggetto della riforma del titolo V, promossa dal centrosinistra nel 2001. Nel febbraio del 2018, Zaia, Maroni e Bonaccini firmano delle pre-intese con il governo Gentiloni, rappresentato dal sottosegretario Gianclaudio Bressa. Poi la riforma sparisce dai radar durante il governo M5s-Lega e per riprendere ‘timidamente’ con il progetto affidato a Maria Stella Gelmini, durante l’esecutivo Draghi.
Ora che la riforma sull’autonomia è legge, occorre attendere, entro 30 giorni, la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e poi i governatori possono avviare la trattativa con lo Stato per il trasferimento di determinate competenze. Tra le 23 materie che si possono trattare sono escluse le 14 soggette ai Livelli essenziali di prestazione, che occorrerà ancora tempo per definire. Ma già per le prime materie lo Stato potrebbe deliberare la compartecipazione a coprire le spese delle competenze trasferite in maniera parziale o totale.
Mentre stupisce il silenzio del fondatore Bossi, a ‘guastare’ la festa leghista, però, sono arrivati i malumori dei governatori azzurri del Sud. Dalla Calabria, Roberto Occhiuto ha fatto sapere che gli esponenti di FI della sua regione non hanno votato la riforma, mentre il lucano Vito Bardi ha espresso “perplessità” sull’accelerazione impressa all’approvazione del ddl.
Non si fa attendere la risposta leghista. “Forza Italia sia coerente e la smetta di fare propaganda differenziata, di fatto prendendo in giro i cittadini – è la dura replica del commissario lombardo Fabrizio Cecchetti -. In tema di autonomia il cortocircuito è più che mai evidente, visto che la posizione varia a seconda dei territori e della convenienza. Mentre ci sono deputati calabresi che non partecipano al voto alla Camera e governatori del Mezzogiorno che rinnegano il programma del centrodestra, esponenti di Forza Italia in Lombardia si spendono sul territorio in maniera totalmente opposta, facendo i federalisti e promuovendo la corrente Forza Nord. Un trasformismo vero e proprio che danneggia la credibilità del governo, su un tema come l’autonomia che e’ tra i cardini dell’azione dell’esecutivo”.