«Moussa Sangare non ha avuto nessun complice. Ha agito da solo». Inoltre, ha confessato che prima di uccidere Sharon — oltre che sulla sagoma di cartone che teneva in casa e su cui aveva disegnato una faccina — aveva «fatto delle altre prove con una statua di una donna che si trova nel parco di Terno». Circostanza che, se confermata, potrebbe provare la premeditazione.
Sono tutti passaggi del decreto di fermo a carico del 29enne aspirante rapper, accusato del delitto di Sharon Verzeni, che questa mattina a Bergamo verrà sottoposto al vaglio dalla giudice per le indagini preliminari Raffaella Mascarino.
In tasca i quattro coltelli. Nella confessione, Sangare ha detto di non essere stato sotto effetto di stupefacenti e di aver scelto Sharon dopo averla vista «guardare le stelle, mentre lei passeggiava con gli auricolari». Prima delle coltellate fatali, inoltre, Moussa ha detto di averle chiesto «scusa».
Dopo il delitto, la fuga in bicicletta e il ritorno alla vita di sempre: in piazza, la pizza con gli amici qualche giorno dopo. Moussa quindi non avrebbe raccontato nulla a nessuno, tenendo il suo segreto nascosto per un mese. Gli inquirenti sono arrivati a lui non soltanto attraverso i frame delle telecamere, ma anche grazie alla testimonianza di due ragazzi che lo avevano incrociato per strada quella sera. E i carabinieri, una volta raccolte le informazioni, avevano chiesto verifiche anche alla sorella del killer, Awa.
Restano invece ancora senza un volto i due minori che Sangare ha detto di aver minacciato prima del delitto: finora nessuno, però, si è presentato in caserma, nonostante gli appelli «Non possiamo pensare che sia stato un raptus — dice Stefano Comi, avvocato della sorella e della mamma di Moussa —.Ci sono i precedenti denunciati da Awa, che era stata minacciata. Avevamo chiesto aiuto al sindaco e servizi sociali». Risposte che, per ora, non sono arrivate dal sindaco di Suisio, il 26enne Edoardo Bertuetti.