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Per metterla giù con solenne e sproporzionata gravità: il berlusconismo è da considerarsi come una vera e propria età storica pari a quella giolittiana, al ventennio fascista o all’era cosiddetta democristiana, fu un grande esperimento sociale e di potere. Punto. Se poi, deposti i ridicoli paramenti storiografici, detto esperimento sia riuscito o meno esula da questo ricordo che, detto in sincerità, preferisce rovistare alla periferia degli eventi, molti dei quali spesso bizzarri e, dato il soggetto da cui ha tratto il nome, altamente imprevedibili. Durato almeno un quarto di secolo, a occhio il berlusconismo ha certamente contribuito a far perdere all’Italia un bel po’ di tempo, pure generando epigoni di gran lunga inferiori alla statura del fondatore, oltre che avversari e nemici che lo hanno contrastato ciecamente e a volte fanaticamente al punto da introiettarlo.
In compenso il ciclo di comando del Cavaliere ha recato in dote e per certi versi addirittura in omaggio al gentile pubblico di questa nazione qualcosa – un quid, un senso, un gusto, una passione – che gli italiani desiderano sommamente: il divertimento, specie quando assume le forme e la sostanza dell’eccesso vistoso, racconto da generare emozioni e sentimenti, quindi faziosità, astio, sberleffi, lacrime, sorpresa, meraviglie e incredulità, dalla discesa in campo al bunga bunga, dai boati degli stadi ai servizi sociali presso la Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dai tanti malori alle altrettante resurrezioni, fino a questo giorno che ci fa tutti più vecchi anche se non più consapevoli. Sembra anzi di poter riconoscere in questo scambio tra un uomo e il suo Paese un che di magico e di folle, che peraltro Berlusconi stesso, a suo tempo imboccato prefatore di Erasmo, ha sempre relativo rivendicato, per quanto aggiustandoselo, dialogando con la folla, nel senso soggettivo ed esclusivo della sua propria lungimiranza.
In realtà era un tratto di pazzia del genere istrionico, buffonesco e melodrammatico, che sta dentro i cromosomi del comando all’italiana, a partire da Cola di Rienzo – “et in sua bocca sempre riso appariva in qualche modo fantastico” – ma forse anche prima, vedi Nerone, evocazione che a proposito di Berlusconi si deve a Umberto Eco, forse in un giorno di cattivo umore e la memoria viva e insidiosa, ma pure decisamente onirica, alla rinfusa trova subito il modo di inseguire e insieme dribblare Veronica, Bondi& Cicchitto, Apicella, lo stalliere, il cuoco Michele, Mamma Rosa, don Verzè, il ragionier Spinelli, la Pitonessa Santanché , il dottor Zangrillo e prima ancora Scapagnini che dichiarò il Cavaliere “tecnicamente immortale”, povero lui, e l’igienista dentale e/o mentale, e Pascale, la Regina Fascina, un numero considerevole di cerchi magici, aiuto!
E mentre nella testa exeunt omnes, se ne vanno tutti, svaniscono dissolvendosi nel Grande Nulla, ecco che il ricordo dei ricordi finalmente approda al vivente non umano, a Dudù, il barboncino psicopompo a cui Putin, sulla copertina di “Chi”, tirava la palletta, seguito da una quantità di altri cani in vetrina su magnifici prati di magnifici parchi in magnifiche foto magnificamente somministrate a tutti ea nessuno nel tempo ultimativo della democrazia del pubblico. Una tempesta di imitazioni e di satira, qualche censura, una dozzina almeno di film, altrettanti documentari e opere teatrali, un paio di musical all’estero, un’intera pinacoteca, da ritratti in costume alla street art, oltre a diverse statue, tipo lui in costume da Superman appeso con un corda a un elicottero per far divertire i nipotini, sempre lui iper realisticamente e precocemente disteso era il 2012: aveva ciabatte a forma di Topolino e mano nella patta – dentro una teca di cristallo.
Allo stesso modo è impossibile contare le installazioni d’arte contemporanea, teste sgretolate, ritratti a mosaico realizzati con coriandoli di giornaletti porno e altre opere dell’ingegno comprese una saponetta spacciata come figlia del grasso tratto da una liposuzione. Converrà aggiungere che in questa ventata di immaginaria però anche piuttosto concretamente fantasmagoria, in parte grazie a Berlusconi, in parte a prescindere, le istituzioni hanno cessato di essere quelle che erano state per le ultime generazioni: anche un modo per contenere la volontà di potenza e quindi pure le mattane dei governanti. Forse è per questo che il Cavaliere le ha premuroso, a cominciare dal Parlamento, un impiccio, un impaccio, una perdita di tempo e, personalmente, un mistero e una fonte di dispiacere.
Ma a pensarci bene la stessa democrazia è rimasta travolta sotto la pressione del regime degli spettacoli per poi finire seppellita – non suoni troppo irrispettoso – dalla messa in scena, dalla finzione, dalla simulazione e giù, giù, a palate, dal raggiro clownesco, dalla sòla piagnucolosa, dalla frode e dall’impostura, che in Italia sanno farsi creativi come in nessun altro luogo, annunciano come sono al genio. Beato chi oggi riesce a dire quale sia stata la politica di Berlusconi, a meno di non intenderla come una sottospecie di cultura totalitaristicamente liberaloide che in ogni caso s’identificava e s’immedesimava in lui stesso, nella sua visione auto-replicatissima, nelle continue peripezie del suo corpo, dei suoi quattrini di cui tutti volevano impossessarsi, compresi quanti possono a buon titolo essere considerati comprimari della sua rovina politica.
Più una politica, forse, si è trattato di una specie di sensibilità post-politica, vissuta e sfruttata dai suoi amici e adulatori, e magari patita dalla sua stessa famiglia che egli, offuscato dai successi, ha sempre considerato una stirpe, un casato, una famiglia reale. Perché nei simboli della sua maestà Berlusconi non è stato per tre o quattro volte un semplice presidente del Consiglio, come tutti gli altri, ma sempre ha vissuto il suo comando come un sovrano, un re, un monarca all’inizio aziendale, poi non più solo come attestato dai palazzi, le ville, la corte con ciambellano, maggiordomo, cuoco, preparatore atletico, giardiniere, cuoco, musico, avvocati legislatori, poeti encomiastici, ruffiani, cortigiane, guardie, servi e buffoni.
Senza Berlusconi non ci sarebbe stato Renzi, non ci sarebbe stato Grillo, non ci sarebbero Salvini, né Meloni, da lui ribattezzata in pubblico “la Trottola”. Senza Berlusconi non ci sarebbero stati, sia pure sagomati alla rovescia, né Prodi, né Monti, né Letta e in misura qualche nemmeno Mattarella e Draghi. Senza Berlusconi, molto probabilmente, non ci sarebbe stato Trump. E qui ci si fermerebbe: ancora una volta l’Italia laboratorio di forma e sostanza politica. E tanto, troppo si è già detto oltrepassando la soglia del sensato, del ragionevole, ma osando l’inosabile vale la pena azzardare che senza Berlusconi non ci sarebbe un pezzettino di tutti noi. E come congedo, tra milioni di stimoli e sbigottimenti, immagini tristi e liete ricordi, con temerario arbitrio pare di vedere ancora, piccoletto e pieno d’energia, dirigere l’orchestra che intona “Fratelli d’Italia”, e a quel verso fatale – “siam pronti alla morte” – Silvio Berlusconi sorride e fa così così con la mano, calma, un momento, siamo pronti fino a un certo punto, anzi non siamo pronti, nessuno è mai pronto, mai, però mannaggia succede a tutti, e così sia.
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