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ALDO MORO FU RAPITO DA AGENTI DEL SERVIZIO SEGRETO MILITARE SOVIETICO

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È vero che la mattina del 16 marzo 1978 l’onorevole Aldo Moro non era in via Fani?
«Testimonianze e documenti assicurano che Moro fu “prelevato” prima di via Fani. I Br non ebbero capacità tecnica di sparare senza colpirlo, lo assicura un killer professionista, addestrato dai sovietici e reclutatore di Carlos lo Sciacallo. Bassam Abu Sharif depose davanti alla commissione Fioroni: «Le Br non hanno rapito Aldo Moro… Le Br non avevano la possibilità di uccidere cinque guardie del corpo senza che Aldo Moro venisse ferito».

Moro stesso avrebbe nascosto nelle lettere le notizie su che cosa fosse successo?
«Io ho fatto l’esame filologico della prima lettera a Francesco Cossiga, del 29 Marzo e di quella alla signora Nora per Pasqua, mai pervenuta. Nel libro dimostro che Aldo Moro comunica che della sorte della scorta (e quindi dell’agguato di via Fani) non sa nulla. Cossiga disse alla prima commissione Moro che le lettere furono esaminate “con metodi artigianali”. Io ho lavorato con metodi artigianali e sono giunto a risultati esplosivi, confermati dalla rigorosa decrittazione di sei anagrammi tratti dalle missive. Da dilettante, dopo 45 anni… Doveva essere fatto nei 55 giorni dallo Stato, con le risorse delle università».

Dove si trovava, dunque, lo statista Dc?
«Negli anagrammi dice che era “in terra dantesca”, in una casa con “tre tetti nascosti”, nelle mani di “popolo russo”, trasportatovi “in elicottero”».

Perché uccisero la scorta?
«Perché testimoni di quanto avvenuto prima di via Fani, per ottenere il triplice distacco: Moro separato dalla scorta, dall’inseparabile Oreste Leonardi e dalle sue cinque borse, una delle quali lo seguiva ovunque».

Chi agì in via Fani?
«Il Gru, servizio segreto militare sovietico, avvalendosi del gruppo Carlos, anche per collocare esplosivo ad alto potenziale nella Mini Cooper verde col tetto nero, parcheggiata davanti al bar Olivetti e alle spalle dei Br che sparacchiarono contro l’Alfetta. L’annientamento di Oreste Leonardi e di Domenico Ricci, i due carabinieri di gran lunga più pericolosi dei cinque della scorta, fu operato con totale sorpresa, senza spruzzi di sangue e coi primi tre colpi dell’agguato, da un commando di quattro killer professionisti, con uniformi Alitalia e col berretto con visiera a proteggerli dal riconoscimento satellitare».

C’era un “traditore” nelle alte sfere dello Stato?
«La presenza di un Giuda ad alto livello è certa. I Br seppero un mese prima che l’agguato sarebbe avvenuto in via Fani. Per andare nel centro di Roma, vi sono tre itinerari: uno è per via Fani, ma ci sono anche via della Camilluccia e via Trionfale. Il Giuda ordinò a Oreste Leonardi di passare per via Fani, facendosi precedere da una Fiat 128 bianca. È provato nel mio libro».

È vero che durante la prigionia Moro fu torturato?
«Il verbale di autopsia dedica dieci righe a quattro costole di Aldo Moro, rotte in tempi differenti. Meno di due righe liquidano un “vasto edema cerebrale”. Il verbale fu occultato alle Commissioni parlamentari di inchiesta e ai magistrati. È stupefacente che né la commissione Fioroni, né le precedenti, né l’ultima commissione antimafia, le cui conclusioni sono successive all’uscita del mio libro, mai si siano accorte della tortura che piegò Moro ai disegni dei rapitori, a svelare tutti i suoi segreti. Ebbero un bel dire che non ne custodisse di rilievo. Egli fu l’uomo della Nato e il rifondatore dei servizi segreti, con saldissimi legami oltreatlantico. Che poi a Washington si siano fatti intortare da Mosca è un altro discorso».

Ci furono depistaggi?
«Un depistaggio, documenti alla mano, è propalato da due monsignori, i quali gabellarono Moro ucciso da Giustino Devuono (sicario della criminalità ndr) il quale sparava i colpi “a raggiera”, su una linea circolare intorno al cuore. Due giornalisti, Paolo Cucchiarelli, Giovanni Fasanella e il gruppo Pd della Commissione Fioroni avallarono. Nel libro dimostro che i colpi “a raggiera” non esistono. I colpi sono distribuiti su due segmenti convergenti e rettilinei a cercare le fratture alle costole e confondere le acque sulla tortura bestiale patita dallo Statista. Anche il covo di via Montalcini è una delle tante gabole del racconto di magistrati e di sedicenti giornalisti d’inchiesta».

Insomma, secondo lei, il sequestro di Moro fu un colpo di Stato ben riuscito?
«Lo dicono ricercatori come Sergio Flamigni. Stupisce che nessuno di essi s’accorse del depistaggio dei colpi a raggiera o delle torture dimenticate, sebbene testimoniate da L’Unità e da La Stampa. Stupisce la distrazione sul Morucci nel Sisde e che non ci sia chi ricordi l’esplosivo ad alto potenziale in via Fani, che esige addestramento peculiare, estraneo ai Br. Lecito attendere quindi incriminazioni a inchiodare i responsabili del depistaggio, nello Stato e fuori. Finché costoro saranno in libertà non ci si può aspettare un genuino pentimento dei Br, i quali, a loro volta, devono rispondere delle guarentigie procacciatesi con la menzogna».
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