TAROCCHI GRATIS NEWSLa famiglia Vanacore di nuovo al centro del giallo infinito di via Poma. Questa volta però sarebbe Mario, il figlio del portiere, a vestire i panni del killer. Con il padre Pietrino impegnato a nascondere le sue responsabilità per 20 anni fino al suicidio. È lo scenario messo nero su bianco dai carabinieri di piazzale Clodio che negli ultimi due anni hanno indagato senza sosta sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, ventenne segretaria uccisa con 29 coltellate il 7 agosto 1990 a Roma. Uno scenario inedito per uno dei misteri più famosi d’Italia, per cui la pm Gianfederica Dito, magistrato tra i più esperti della procura di Roma, ha chiesto l’archiviazione perché la ricostruzione fornita dagli investigatori è “fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”. È perciò opportuno sottolineare come la procura – con un pm di valore come Dito – sia arrivata ad una conclusione netta, ovvero non c’è ad oggi una prova che possa attribuire la responsabilità penale dell’omicidio di Simonetta Cesaroni in capo a Mario Vanacore. La nuova inchiesta era nata da un esposto della famiglia Cesaroni rappresentata dagli avvocati Federica Mondani e Giuseppe Falvo. Simonetta Cesaroni lavorava da circa due mesi come segretaria contabile per l’ufficio degli Ostelli della gioventù. La ragazza “arriva in via Poma (sede dell’ufficio ndr) tra le 15.40 e le 15.50. In portineria in quel momento non c’è nessuno, perché il portiere Pietrino Vanacore è uscito per la terapia” per curare il mal di schiena” e “non c’è nemmeno la moglie Giuseppa De Luca”, ricostruiscono i carabinieri. Quindi “nessuno vede entrare” Simonetta Cesaroni. Secondo l’informativa dei militari “tra le 17.50 e le 18.15, Mario Vanacore di sua iniziativa, per averlo già fatto in precedenti occasioni o su suggerimento” del padre o della matrigna, “con le chiavi da essi regolarmente possedute” va negli uffici degli ostelli “munito di agenda telefonica per effettuare gratuitamente delle telefonate interurbane a Torino, Cantù confidando che gli uffici siano vuoti”. Tuttavia sarebbe accaduto l’imponderabile. Per i carabinieri, una volta entrato il figlio del portiere “si trova davanti inaspettatamente Simonetta Cesaroni e a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore” dell’ufficio dove poi verrà ritrovato il cadavere. L’uomo poi “dopo aver chiuso la porta dell’ufficio, la obbliga a spogliarsi”. La giovane, “parzialmente nuda” però “prova a ribellarsi e afferra quella che sarà l’arma del delitto – impugnandola perché era alla sua portata o sottraendola momentaneamente all’uomo – e lo colpisce ferendolo”. A quel punto, sottolineano gli investigatori, “l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra”. Così si sarebbe arrivati al momento dell’omicidio con “l’uomo che si impossessa dell’arma del delitto e a cavalcioni della ragazza, supina a terra, la colpisce per ventinove volte”. Cosa sarebbe poi accaduto, secondo la tesi dei carabinieri, negli istanti subito dopo l’omicidio? Nell’informativa viene ipotizzato che il figlio del portiere sarebbe uscito “dalla stanza aprendo la porta e lasciando il proprio sangue sul lato interno e sulla maniglia”. Porta dove gli inquirenti di allora isoleranno “la traccia ematica di gruppo A, non appartenente a Simonetta Cesaroni”. L’uomo poi avrebbe raggiunto “il telefono che evidentemente conosceva per indicazioni dei familiari o per averlo usato altre volte in precedenza”. Da qui parte il tentativo di “contattare il padre e la matrigna (portieri del palazzo ndr) al piano seminterrato per avvisarli di quanto accaduto e chiedere aiuto. In tale circostanza sporca quindi anche la tastiera del telefono con il proprio sangue”. Per i militari dell’Arma “in questa fase, o più verosimilmente in quella iniziale quando trova Simonetta nella sua stanza intenta a lavorare”, l’uomo “dimentica l’agenda Lavazza che aveva portato al seguito per telefonare e che verrà poi rinvenuta e prelevata dagli agenti della Polizia di Stato insieme agli oggetti personali di Simonetta Cesaroni”. Secondo i carabinieri “il tentativo di alterare la scena del crimine, viene interrotto alle 23:20 dell’arrivo in via Poma di Paola Cesaroni”, sorella della vittima, preoccupata dal mancato ritorno a casa di Simonetta secondo il solito orario. Insieme a lei ci sono il fidanzato Antonello Barone, il datore di lavoro della sorella, Salvatore Volponi e suo figlio. “In quel momento Pietrino Vanacore che non si trovava a casa ma nemmeno da Cesare Valle” – anziano inquilino del condominio a cui talvolta il portiere prestava aiuto – “era con ogni probabilità negli uffici degli Ostelli con le chiavi regolarmente detenute” in quanto portiere dello stabile. I quattro che cercano Simonetta si trovano a parlare infatti con la moglie di Vanacore, Giuseppa De Luca e Mario Vanacore che fanno passare un quarto d’ora prima di accompagnarli all’ufficio dove scopriranno il cadavere di Simonetta. Da quanto emerge dall’informativa, “il tempo perso da Giuseppa De Luca e da Mario Vanacore prima di accompagnare Paola Cesaroni e gli altri è stato funzionale a consentire a Pietrino Vanacore di allontanarsi dagli uffici e di salire al quinto piano dall’anziano Cesare Valle” il quale “riferirà che il portiere giunse da lui una decina di minuti prima di udire le grida nelle scale”. Urla conseguenti “alla scoperta del cadavere” da parte della sorella di Simonetta Cesaroni. All’arrivo della polizia, sottolineano i carabinieri nell’informativa, “Giuseppa De Luca tenta poi di non consegnare loro le chiavi in suo possesso, perché si rende conto che quello che impugna non è il mazzo di chiavi “regolare”, bensì quello che proveniva dall’interno degli uffici”. C’è poi un altro elemento che nell’informativa viene evidenziato come sospetto. Ovvero che nel 2010, davanti alla corte d’Assise dove si celebrava il processo contro l’ex fidanzato della vittima, Raniero Busco, Mario Vanacore “riferisce che, quando Volponi scoprì il cadavere, pronunciò la parola “Bastardo”. Mario Vanacore non aveva mai detto prima questo dettaglio, e non lo ha mai detto a nessun altro dei presenti ed in particolare Antonello Barone che, quando venne scoperto il cadavere si trovava sul pianerottolo proprio in compagnia di Mario Vanacore.CONTINUA A LEGGERE SU TAROCCHI GRATIS
SECONDO I CARABINIERI IL KILLER DI VIA POMA È MARIO VANACORE
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