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Perché Carlo Maria Viganò teme per la sua vita? Leggi per scoprirlo…

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L’ultima picconata è sfociata in uno scisma e nella conseguente scomunica. Già ai tempi del cardinale Bertone (di cui Benedetto […]

L’ultima picconata è sfociata in uno scisma e nella conseguente scomunica. Già ai tempi del cardinale Bertone (di cui Benedetto XVI «era succube») l’arcivescovo Carlo Maria Viganò denunciava implacabile i mali interni della curia.

«Per me la verità viene prima di tutto». Il mese scorso è finito sotto processo in Vaticano per aver dichiarato pubblicamente di non riconoscere né l’autorità di Francesco né il Concilio Vaticano II, entrambi delitti di una gravità inaudita. Si è trattato di un passaggio che ha fatto emergere la guerra civile interna, anche se allo stato attuale sembra difficile quantificare l’effettiva area del dissenso.

Viganò ex nunzio negli Stati Uniti, e prima ancora ai vertici del Governatorato e in Segreteria di Stato a capo di tutte le nunziature, appare sereno e non intende far marcia indietro. Tuttavia manifesta timori per la sua vita. «Non voglio fare la fine del cardinale Pell».

Cominciamo dalla fine, dopo la scomunica, precisamente dove risiede: negli Usa, in Svizzera o vicino a Viterbo dove sta costruendo un centro?

«Dopo la diffusione del mio memoriale sul caso McCarrick nell’agosto 2018 un mio contatto dagli Stati Uniti mi avvertì che la mia vita era in pericolo: per questo non risiedo in un luogo fisso. Non voglio fare la fine del cardinale Pell, né del mio predecessore a Washington, il nunzio Pietro Sambi.

Anche lui fronteggiò strenuamente l’allora cardinale McCarrick. Sambi morì in circostanze mai chiarite, dopo un banale intervento. Il certificato di morte rilasciato alla Nunziatura non spiegava le cause del decesso di Sambi al quale non venne mai effettuata un’autopsia».

Lei accusa il Papa di essersi mosso in ritardo, ignorando inizialmente gli abusi di McCarrick (poi condannato per pedofilia ed espulso dal collegio cardinalizio ndr). Che prove concrete c’erano?

«Quando ero in Segreteria di Stato come Delegato per le Rappresentanze Pontificie trattai io stesso il caso McCarrick e sin da allora ne chiesi la destituzione dal cardinalato. I miei diretti superiori sono responsabili del non aver tenuto nel debito conto il mio giudizio basato su testimonianze incontrovertibili.

Ovviamente a qualcuno in Segreteria di Stato l’operato di McCarrick faceva comodo: penso alle somme ingentissime raccolte tramite la Papal Fundation che McCarrick aveva costituito negli Stati Uniti. Fu proprio a monsignor Sandri, allora Sostituto, che consegnai il mio appunto su McCarrick, ma l’ambizione e le prospettive di avanzamenti di carriera lo indussero a tacere e insabbiare gli scandali».

McCarrick era così influente?

«Bergoglio deve a McCarrick la sua elezione e anche per l’Accordo segreto sino-vaticano, fortissimamente voluto dai Gesuiti e dall’establishment democratico, è notorio il ruolo dell’ex cardinale di Washington. La punizione nei suoi confronti decisa solo nel 2019 servì a salvare la reputazione al pontificato.

Purtroppo non vi fu un giusto processo canonico e ai testimoni non fu data l’opportunità di fare i nomi dei complici e il giudice non ha potuto imporre alcun risarcimento per le vittime, poiché Bergoglio si è arrogato il diritto di definire res judicata la causa, senza divulgare il decreto ufficiale, che pure è un atto pubblico. La misura amministrativa decisa doveva nascondere la rete di complicità nonostante i crimini fossero noti da decenni».

Come mai nel 2011 lei ebbe scontri con il cardinal Bertone, allora segretario di Stato?

«Fece di tutto per rimuovermi dalla Segreteria di Stato: nel mio delicatissimo ruolo alle nunziature gli impedivo di promuovere i suoi candidati, spesso corrotti. Riuscì così a trasferirmi al Governatorato nel 2009, dove avevo scoperto il ruolo e le complicità nel coprire il malaffare. Benedetto XVI mi convinse ad accettare la nomina degli Stati Uniti».

Si dice che lei sia infuriato con Francesco perché le ha tolto l’appartamento in curia mentre Bertone vive ancora nel suo “famoso” alloggio finito anche al centro di un’inchiesta. Come stanno le cose?

«Era chiaramente un’azione vendicativa, Bergoglio voleva togliersi di torno chi sapeva troppe cose e non era manovrabile».

Ma non è eccessiva la sua posizione?

«Se avessi taciuto avrei mancato gravemente ai miei doveri di vescovo come purtroppo fanno tanti miei confratelli. Aggiungo una cosa. Con la scomunica che è palesemente invalida si è voluto in qualche modo condannarmi a morte, ma la verità non può essere uccisa».

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