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Elon Musk sarà il vero presidente USA?

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Ci sono decine di prospettive diverse dalle quali guardare a quanto è appena successo negli Stati Uniti d’America dove Elon […]

Ci sono decine di prospettive diverse dalle quali guardare a quanto è appena successo negli Stati Uniti d’America dove Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e uno degli imprenditori dell’innovazione più istrionico e spregiudicato di tutti i tempi ha contribuito in maniera determinante al ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, appena milleduecentesimo nella classifica degli uomini più ricchi del mondo ma tra i più spregiudicati concorrenti di tutti i tempi nella corsa alla presidenza Usa.

Una delle più semplici è quella di chi rileva come Musk ha, ancora una volta, osato più di chiunque altro prima di lui, puntando, quasi che le elezioni fossero una roulette, tutto sul rosso, sino a legare a doppio filo il suo volto e i brand delle sue aziende al destino politico di Trump e a vincere il banco.

E si tratta naturalmente del meno significativo dei benefici che il patron di X (fu Twitter) porterà a casa grazie al successo elettorale di Trump. Il neo-ri-eletto presidente americano infatti nel ringraziare Musk lo ha già definito un genio da proteggere e promuovere e ha già annunciato l’intenzione di averlo accanto nel suo secondo mandato anche se con un ruolo ancora da definire, verosimilmente, legato all’efficientamento dell’amministrazione pubblica americana, una specie di Zar anti-sprechi e burocrazia, per quel che si è capito.

Conflitti di interessi

Perché è difficile definire diversamente uno scenario nel quale un uomo con interessi enormi nella vita economica del Paese – e per la verità del mondo intero – si ritrova, per effetto di enormi crediti maturati nel corso di una campagna elettorale, non solo vicino ma addirittura dentro lo studio ovale, il cuore del potere americano e, forse, globale. Qui basterebbe ricordare – ma ancora una volta per limitarsi a guardare alla punta dell’iceberg – che Space X, un altro dei fiori all’occhiello della galassia societaria di Musk ha rapporti miliardari, da lustri, con il governo americano, a cominciare dalla Nasa, rapporti che, inutile dirlo, sembrano ora destinati a rafforzarsi in maniera significativa.

E inutile anche ricordare, nella stessa prospettiva, che Tesla beneficia, anche in questo caso non da ieri ma danni, di incentivi governativi a tanti, tantissimi zeri, per il contributo – o presunto tale – dell’industria dell’auto elettrica alla lotta al cambiamento climatico.

Trump peraltro storicamente non è un tifoso di questo approccio ma è difficile credere che ora non aggiungerà qualche zero a questi incentivi. E non basta: le aziende di Musk, in buona misura in ragione della spregiudicatezza e dell’insofferenza alla regolamentazione che rappresentano alcune tra le cifre più distintive delle iniziative dell’uomo più ricco del mondo, sono ormai da qualche anno al centro di una serie di investigazioni e procedimenti di diverse agenzie, autorità e tribunali americani.

Che ne sarà ora che il responsabile ultimo dell’intero circuito imprenditoriale dividerà di fatto la poltrona dello studio ovale con il presidente degli Stati Uniti d’America? C’è poi un’altra possibile prospettiva che è quella di chi non si chiede cosa è successo e cosa accadrà ora nei prossimi anni di regno di Trump e Musk ma cosa accadrà in occasione delle prossime elezioni e di quelle ancora dopo. I due hanno in qualche modo sdoganato un nuovo modello inedito di funzionamento della pachidermica macchina elettorale americana: quello del super sponsor e del super sponsorizzato che legano l’un l’altro i propri destini, scommettendo tutto e dichiarandosi pronti a vincere o perdere tutto.

(…) Musk infatti non è solo l’uomo più più ricco del mondo né un qualsiasi imprenditore seriale ma è uno dei grandi dell’innovazione tecnologica globale.

Dal digitale allo spazio, dalle neuroscienze e neurotecnologie all’intelligenza artificiale, dalle auto a guida autonoma ai social network: non c’è un ambito nello scibile dell’innovazione tecnologica che sia stato risparmiato dal suo indiscutibile istinto pioneristico e dalla sua voglia di esserci e di essere il primo. Indiscutibile quindi che il suo ritrovarsi così vicino al presidente degli Stati Uniti d’America (comunemente considerata la più grande potenza mondiale e certamente la patria della più grandi tech-farm globali) e disporre di così importanti crediti politici e amicali consentirà a Musk di avere un’influenza senza precedenti sulla governance dell’innovazione tecnologica.

Potrebbe usarla per sbaragliare la concorrenza, a cominciare da quella nella corsa all’intelligenza artificiale, zavorrando – o, meglio, facendo zavorrare – OpenAI e favore della sua xAI e fare altrettanto nell’universo dei social network o in quello della corsa verso Marte e, più in generale lo spazio. Ma sarebbe forse la più banale delle direzioni possibili. Potrebbe usarla per riscrivere la geopolitica digitale globale dei rapporti tra Usa e Cina, non avendo mai nascosto di considerare quello cinese, in particolare per le sue auto a guida autonoma, un mercato difficilmente sacrificabile. Certo Trump ha sempre mostrato di pensarla in maniera molto diversa ma non è facile dire oggi chi dei due comanderà per davvero, specie in materia di innovazione tecnologica.

Ma come userà questa influenza?

E un’alleanza Cina-Usa nei settori tecnologici, per quanto sia uno scenario che oggi appare fantapolitico, sarebbe difficilmente sostenibile per l’Europa. In questo caso ne beneficerebbe verosimilmente l’intera industria tecnologica statunitense e a rimetterci sarebbe l’Europa, quella dell’industria e quella dei diritti e delle libertà. La posta in gioco in uno scenario del genere è enorme perché l’impatto che uno sviluppo meno regolamentato di neurotecnologie, intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma e social media potrebbe avere sulla nostra società, sulle persone e sulle nostre democrazie è da fantascienza.

Candidata di plastica. Così in tempi non sospetti avevamo definito Kamala Harris, l’ex procuratrice tristemente priva di quel dono che gli dei somministrano con capricciosa parsimonia agli umani: il carisma.

Gli americani se ne sono accorti e hanno premiato il toro Donald Trump che emana feromoni da ogni poro. Ma la domanda è: e ora?

Il sodalizio Trump-Musk fa paura soprattutto agli esausti europei guidati da una scaltra tedesca, Ursula von der Leyen.

Proviamo allora a praticare un esercizio difficile in uno scenario ancora molto confuso. Elenchiamo le poste attive e quelle passive.

1) La guerra in Ucraina finirà presto. Il rapporto Trump-Putin è solido e il vecchio toro non si è mai lasciato contagiare da quello spirito di crociata che ha travolto Joe Biden e la Nato. La quale ne farà le spese per avere trascorso gli ultimi due anni a presentare Putin come un dittatore lunatico intento a ristalinizzare l’Europa.

2) Veniamo al Medio Oriente dove invece non cambierà niente. Del resto la coppia Biden-Harris ha pagato caro alle urne la vergognosa passività nei confronti di Benjamin Netanyau. Si può forse allora ipotizzare che la disperata situazione dei palestinesi potrebbe migliorare da un’intesa di ferro tra Usa e Israele nella quale i due vincenti concedono qualcosa ai perdenti, in nome della gloria e della storia.

3) I dazi. Indubbiamente ci saranno ma la partita diplomatica è aperta. Vediamo al tavolo delle trattative che cosa uscirà fuori.

4) Passiamo ora all’incubo alla Edgar Allan Poe. Trump aveva promesso che avrebbe scassato la venerabile costituzione americana costruita sui pesi e contrappesi alla Montesquieu. Che dire? Con una solida maggioranza repubblicana in congresso e molti giudici infeudati alla destra, Trump può davvero cambiare la costituzione del 1787 materializzando i pensieri peggiori dei miei colleghi americani.

5) La Cina. L’escalation è inevitabile ma non è detto che sia militare. La Cina è talmente vulnerabile da essersi rivolta al Wto per la controversia sui dazi. Insomma c’è spazio per la diplomazia.

6) E chiudiamo con Elon Musk il quale appartenendo alla rara categoria dei geni assoluti è imprevedibile. Salvo su un punto. Di Antitrust e regolazione non sentiremo più parlare, il che è un peccato. Ma non è detto che dal suo misterioso cilindro non salti fuori un coniglio persino più interessante. Insomma prendiamo i biglietti e prepariamoci allo spettacolo.

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