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TAROCCHI GRATIS NEWSNessuno ci riesce meglio di Baz Luhrmann. A combinare suoni e immagini. Le sincronizza, le sposa, le fa diventare grandiose[…]. Il primo piano di un uomo. Zoom. Lo spazio che va dall’ombelico al muscolo sartorio. Indossa un completo fucsia, ma quando agita il bacino (the pelvis) è più provocante della nudità. L’insofferenza pubica che ballonzola sotto il tessuto leggero scatena l’isteria; la musica, la voce, la bellezza radiosa, il ciuffo e le sovraesposizioni di Luhrmann fanno il resto. L’immagine si allarga, delirio in sala, Baby Let’ s Play House è travolgente, il volume assordante, l’entusiasmo incontenibile – è rock’ n’roll, pozione che stordisce, esalta le percezioni, scatena i sensi, scuote le membra (il demonio gli ha già messo gli occhi addosso, dietro le quinte si frega le mani; è Tom Parker, si fa chiamare Il Colonnello: «Farò di quel ragazzo un supereroe!»). Prima della beatlemania, prima di Jagger, prima di Woodstock, prima del glam, prima del punk – prima di tutto, c’era Elvis. Il regista australiano è stato più audace, e anche più fortunato: nel giovane Austin Butler ha trovato volto, voce e sex appeal per il suo protagonista; nel veterano Tom Hanks, l’interprete perfetto per il manager squalo (Il Colonnello), non esattamente a proprio agio nella sfera dell’arte ma abilissimo a manipolarla (a costo di manipolare l’artista) e tradurla in soldoni. Baz Luhrmann confida che il suo flirt con Elvis Presley (1935-1977) cominciò ben prima che la regìa diventasse mestiere, quando il cinema era passione adolescenziale. «Ricordo esattamente dov’ ero quando Elvis morì: seduto nell’ultima fila dello scuolabus», racconta visibilmente infervorato e appagato. «Eravamo rimasti in due a bordo. Abbastanza inspiegabilmente provai un profondo senso di delusione: dunque non lo avrei mai incontrato di persona!? In quel momento fu come se ci fosse un misterioso legame tra Elvis e quel quattordicenne della sperduta provincia australiana (Herons Creek, Nuovo Galles del Sud). Che divenne più forte quando al cinema del paese cominciarono a proiettare un film di Elvis ogni sabato sera. Recentemente ho avuto un flashback: 1972, l’anno in cui uscì Burning Love. A scuola avevano organizzato una gara di ballo, indossavo una T-shirt con il numero sulla schiena. Andai dal dj e chiesi quella canzone. E con il mio jive vinsi la gara! Più avanti, negli anni Settanta, cominciai ad avere altri miti: David Bowie, Elton John… Tuttavia, recentemente, mia moglie (la scenografa Catherine Martin, ndr), mi ha ricordato che non smettevo di ripetere: “Elvis è un ottimo modo per esplorare l’America: il buono e il cattivo degli Usa che s’ intrecciano nella cultura pop”. un personaggio shakespeariano che definisce orizzonti più vasti: ideologia, società, paese». Il film ne racconta la vita dalla nascita alla morte, incernierato su tre avvenimenti cruciali: il ribelle arrestato, nel 1956, in piena elvismania, per un alterco avvenuto davanti a un distributore di benzina assediato dai fan (dopo pochi mesi avrebbe girato e inciso Jailhouse Rock); l’exploit hollywoodiano, quando cominciò a vivere dentro una bolla; il trionfale comeback televisivo del 1969, poi tradito dal malinconico entertainer intrappolato all’International Hotel di Las Vegas. «Il mio Elvis è un melodramma americano», aggiunge il regista«In effetti Elvis è il narratore che esprime due aspetti fondamentali dell’America di tre decenni: 1) l’incontro/scontro razziale 2) il culto della personalità, che nell’arte può diventare più grande della creatività, e divorarla. Il rapporto Elvis/Parker corrisponde esattamente alla mia visione del Paese».CONTINUA A LEGGERE SU TAROCCHI GRATIS

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