Un Dna sconosciuto su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime del mostro di Firenze. Un Dna che ricorre anche sui proiettili di altri due delitti. Potrebbe aprire nuovi scenari nel giallo infinito del killer delle coppiette la ricerca di Lorenzo Iovino, ematologo italiano che lavora negli Usa, dove si occupa di trapianti di midollo.
Iovino è partito dal lavoro fatto all’epoca dal professor Ugo Ricci e dalla sua equipe sui vari reperti balistici, in particolare sul proiettile — denominato V3 — rinvenuto nel 2015 nel cuscino della tenda dei due fidanzati uccisi in una piazzola a Scopeti nel 1985.
Nello studio si indicava infatti la presenza di un Dna completo, poi risultato riconducibile a quello del perito che aveva esaminato il reperto, mescolato a un altro rimasto ignoto: sfruttando le sue competenze in campo genetico e le tecniche più sofisticate, Iovino ha scorporato in modo integrale quella sequenza, scoprendo anche una parziale sovrapposizione con quelle individuate su altri due proiettili rinvenuti in occasione dei duplici omicidi di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (9 settembre 1983) e di Pia Rontini e Claudio Stefanacci (29 luglio 1984). La firma del mostro, almeno in ipotesi. Rimasta impressa al momento di ricaricare l’arma.
«Sono partito proprio dal poderoso lavoro di Ricci per fare una operazione di sottrazione — spiega Iovino […] scorporando dai profili di amplificazione emersi dal V3 il profilo genetico del perito balistico che aveva, in effetti, maneggiato il reperto. Il profilo “sconosciuto” di cui parliamo emerge dal risultato di tale sottrazione, dai documenti che ho a disposizione, non mi risulta che sia stato comparato ad altri ed individuato».
Iovino si spinge oltre: «Non solo non è compatibile con quello delle vittime e del secondo perito balistico che aveva maneggiato il reperto, ma neanche con quello di alcuni indagati, o delle tracce di Dna di altri sconosciuti isolate da Ricci sui pantaloni di Jean Michel e sulla tenda».
Proprio sulla scia di questa “scoperta”, l’avvocato Adriani […] chiede ora che vengano fatte «tutte le comparazioni possibili con i reperti a disposizione e con il profilo delle persone che sono state indagate nel corso del tempo». Non solo. «Se ci daranno l’autorizzazione i parenti — annuncia — chiederemo alla procura la riesumazione del corpo di Stefania Pettini (uccisa il 14 settembre 1974, ndr). Sappiamo dalla consulenza del medico legale che potrebbe aver lottato con l’assassino, non è impossibile pensare che dei campioni biologici siano rimasti per esempio sotto le unghie».
Dopo quasi 50 anni, secondo Adriani e il suo consulente, la chiave del mistero potrebbe essere ancora impressa sul corpo di Stefania. «Gli esami di tipo genetico all’epoca non esistevano, sarebbe importantissimo svolgere una seconda autopsia — prosegue Iovino — In quel delitto ci fu una interazione tra aggressore e vittima, che molto verosimilmente provò a difendersi allo stremo riuscendo forse anche a ferire l’assassino. Certo è possibile che non si trovi nulla (a causa del tempo trascorso o dello stato di conservazione del cadavere), o che, anche in caso di esito positivo, il Dna possa essere incompleto o non comparabile o che la contaminazione appartenga a un operatore che aveva maneggiato il reperto. Ma nei casi non risolti, non resta che tentare tutte le strade».