Quasi un miliardo di utenti attivi che scambiano messaggi e consultano le chat ogni mese, circa 100mila al giorno solo nell’ultimo anno. Una crescita esponenziale dal 14 agosto 2013, anno in cui la piattaforma è stata lanciata. Stiamo parlando di Telegram. […]
Ora le sorti della società sono in bilico a causa dell’arresto in Francia di Pavel Durov, che l’ha fondata insieme al fratello Nikolai. Nel mirino della giustizia è finita proprio la piattaforma, accusata di agevolare reati come frodi, pedofilia, traffico di droga, promozione del terrorismo. Del resto da sempre Telegram si vanta dei propri livelli di sicurezza e privacy attraverso l’anonimato degli utenti, un sistema di crittografia avanzata e la possibilità di avviare chat segrete e inviare messaggi che si «autodistruggono».
Un baluardo di libertà anche per giornalisti, perseguitati e figure «scomode», sostengono gli sviluppatori. Un rifugio per criminali, terroristi e truffatori per i detrattori. […] Il funzionamento per l’utente è semplice. L’interfaccia è quella classica delle app di messaggistica come WhatsApp, appunto -. Ma a differenza della piattaforma di Meta, è possibile iscriversi e farsi trovare solo con la username e non con un numero di telefono.
Inoltre è diffuso l’utilizzo di «bot», utenti automatici non riconducibili a persone fisiche. E se questo non bastasse, da sempre l’azienda garantisce l’assoluta segretezza di tutto ciò che passa per i suoi server grazie a un protocollo proprietario che permetterebbe di crittografare ogni dato.
In realtà non è proprio così: a differenza di WhatsApp (ad esempio), per avere questo livello di sicurezza bisogna essere un po’ più competenti e sapere che solo le chat segrete hanno davvero la cosiddetta crittografia end to end, un «codice» presente solo sul dispositivo del mittente e quello del destinatario per decifrare i contenuti. […]
Tutto il resto, quindi, finisce sui server dell’azienda. Ed è vero che eventuali hacker difficilmente possono accedere ai contenuti delle conversazioni. Ma non che l’azienda non possa leggere le conversazioni. Resta il fatto che negli anni l’app si è conquistata la fama di essere la più sicura e «privata» sul mercato. E di certo lo è per gli utenti più smaliziati, quelli che sanno come sfruttare le impostazioni per non essere rintracciati.
Attraverso le conversazioni uno a uno, certo. Ma anche con canali e gruppi privati con i quali diffondere materiale piratato, vendere armi, droga o documenti falsi (e magari truffare chi prova ad acquistarli). Oppure diffondere propaganda. Poco può fare per il momento la polizia postale.
Le notizie della chiusura di canali illegali sono ormai quotidiane. Ma identificare chi si cela dietro gli account resta difficilissimo. E Telegram non sembra voler collaborare, trincerandosi dietro un «Rispettiamo le leggi Ue».
Molti media hanno definito Telegram un’app “ultra sicura”, uno strumento simile a WhatsApp ma che mette al centro la privacy dell’utente. In realtà, Telegram non rientra del tutto in questa definizione, che può essere invece attribuita a Signal, app nota per la sua segretezza. Anzi, nel 2021 l’attivista per i diritti umani Raphael Mimoun scrisse sul sito Hacker Noon di trovare “profondamente preoccupante” l’idea diffusa tra molti che Telegram fosse ritenuta “lo standard aureo per la messaggistica sicura”.
I motivi del suo scetticismo sono diversi: innanzitutto i messaggi di Telegram non sono protetti automaticamente da crittografia di tipo “end-to-end”, quella in cui solo le persone che stanno comunicando possano leggere i messaggi, come avviene invece sia su Signal sia su WhatsApp. In particolare le chat di gruppo, tra i prodotti più caratteristici di Telegram, non sono protette in questo modo, e vengono conservate nella cloud del servizio stesso – “un incubo per la sicurezza”, secondo l’esperto di cybersicurezza The Grugq.
Nonostante ciò, attorno a Telegram aleggia da tempo un’aura di segretezza che lo fa sembrare lo strumento preferito da hacker e criminali: negli ultimi anni, inoltre, specie a partire dalla guerra in Ucraina, Telegram si è affermato come canale importante per i media e per i militari stessi. A favorire tutto questo non è stato però la privacy quanto l’assenza totale di moderazione dei contenuti e controlli: da ben prima che il tema della libertà d’espressione diventasse marchio di fabbrica di Elon Musk e del suo X, Telegram si basava sul laissez-faire. Ma anche sula promessa di non vendere i dati degli utenti, a differenza di Meta e Google.
Il legame tra criminalità e Telegram è da tempo al centro di molte inchieste e dell’arresto di domenica. A oggi, comunque, l’unica cosa certa è che la moderazione dei contenuti, da argomento nerd e spesso snobbato, risulta il centro di un marasma tecno-politico che interessa entrambe le parti dell’Atlantico. Da una parte Elon Musk che grida “il prossimo sono io”; dall’altra l’Unione europea – la sola Francia in questo caso – severa e burocrate. Da una parte la totale assenza di moderazione dei contenuti – ritenuta una forma di censura orwelliana, altro che bispensiero; dall’altra le forze dell’ordine francesi che accusano Telegram di non collaborare con la giustizia.