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Fino alle elezioni europee del giugno 2024, in casa Berlusconi non si tocca niente. Né Mediaset, né Mondadori, né Forza Italia. Tantomeno la leadership di capofamiglia di Marina. Dagospia può rivelare che il testamento consegnerà il controllo del capitale di Fininvest ai due figli di primo letto mentre ai tre figli di Veronica Lario resterà di incassare i dividendi e di non rompere le scatole a Marina e Piersilvio.
Più difficile da risolvere la questione Forza Italia. Risolto con un accordo monetario lo scontro che le vide duellanti al capezzale di Berlusconi, Marta Fascina è entrata nel cuore di Marina, e resterà ad occupare il ruolo di consigliera del padrone (ieri la mano di Silvio, oggi la mano di Marina), cercando di andare d’accordo con Tajani. Mentre con il terzo tenutario di Forza Italia, Gianni Letta, con cui la Marta non ha mai legato, si appoggerà alle ambasciate di Marina e Tajani.
L’obiettivo della primogenita del Cavaliere è tenere in piedi Forza Italia, mantenere salda l’intesa con Giorgia Meloni, che da parte sua ha già fatto sapere che non ci sarà spazio in FdI per eventuali transfughi azzurri, aiutandola per il suo progetto europeo di alleanza con il PPE (dove Forza Italia è tra i membri e Tajani ha è sodale del presidente Manfred Weber.
Purtroppo si andrà a votare per le europee fra un anno, e col sistema proporzionale (ogni partito per conto suo), quando l’onda emotiva della scomparsa del Cavalier Pompetta sarà inevitabilmente scomparsa, e tutti gli occhi saranno puntati sul risultato che otterrà il partito orfano di Berlusconi: se non riuscirà a superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, sarà un disastro per Forza Italia.
Disegno che si scontra in maniera frontale con la strategia di Matteo Salvini, un tipino fumantino che non ama Tajani, accusa Letta di fare accordi sottobanco con Giorgia (vedi Preziosi al Tg2) e si sente tradito dal “leghista” di casa Berlusconi, Fedele Confalonieri. A questo punto, pur di non far schiacciare Forza Italia da Fratelli d’Italia, il capataz della Lega farà leva sulla cospicua minoranza azzurra capitanata dal trio Ronzulli-Mulè-Cattaneo, acerrimi avversari della Meloni pijotutto.
A Salvini conviene che l’ala frondista ronzulliana, piuttosto che uscire dal partito, rimanga una spina nel fianco di Fascina-Tajani-Letta, anche perché l’unico dei tre portatore di voti è il pavese Cattaneo. E se l’assertiva Fascina mira ad emarginare i ronzulliani, Tajani, buon navigatore della politica, è meno categorico e più flessibile.
Ma il rischio che corre la maggioranza di governo è la variabile Salvini. Come reagirà l’incontrollabile leader del Carroccio alla manovra centrista della Ducetta che punta a spingere a destra la Lega, svuotando come è avvenuto al Nord, e soprattutto in Lombardia, il suo bacino elettorale? E tutti si aspettano un suo classico colpo di testa: mollare il governo se entro il prossimo maggio non verrà approvata la legge sull’autonomia. L’unica legge che gli permetterebbe di tacitare la guerra interna dei vari Zaia e Fedriga.
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