In Germania la stretta è già diventata legge, in Francia se ne discute da oltre un anno. E anche in Italia, ora, ci sono le condizioni perché la proposta si traduca presto in realtà: niente social per chi ha meno di 16 anni. A meno che il loro utilizzo non avvenga col consenso (e la supervisione) di un genitore.
Dopo un appello del Garante dell’Infanzia e una proposta di legge firmata da Carlo Calenda, l’idea di imporre dei paletti più severi per iscriversi a Instagram, TikTok, Snapchat e Facebook conquista anche Fratelli d’Italia e Pd che hanno appena firmato una proposta di legge «in sincrono» con un doppio obiettivo.
A firmare il testo, ancora oggetto di limature, sono state due esponenti della Commissione Infanzia e adolescenza: Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia, che lo ha depositato in Senato, e Marianna Madia del Pd che lo ha consegnato alla Camera. Con una convergenza bipartisan sull’argomento che fa pensare che il percorso del ddl possa essere spedito, anche se le proponenti vogliono prima attendere gli esiti dell’indagine conoscitiva sul tema social e minori che la Commissione ha appena deciso di far partire. La bozza (ribattezzata «Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale») si compone di sei articoli. E per cominciare introduce disposizioni «per la verifica dell’età dell’utente» da parte dei gestori delle piattaforme.
Non solo: il ddl stabilisce che «i contratti con i fornitori di servizi della società dell’informazione conclusi da minori di anni 16 sono nulli», e non possono «rappresentare idonea base giuridica per il trattamento dei dati personali». Spetterà quindi alle società del web «l’onere di provare che i contratti siano stati firmata da ultra-sedicenni» o da minori «con l’assistenza di chi ne esercita la responsabilità genitoriale o ne è tutore».
Duro invece l’intervento a tutela dei “baby influencer”: In questo caso il ddl stabilisce che «la diffusione, non occasionale, dell’immagine di un minore di sedici anni attraverso un servizio di piattaforma online» è soggetta «all’autorizzazione di chi ne esercita la responsabilità genitoriale o ne è tutore». Ma anche e sta qui la rivoluzione «della direzione provinciale del lavoro», nel caso in cui la diffusione dell’immagine del minore produca o sia finalizzata a produrre «entrate dirette o indirette superiore ai 12mila euro all’anno».
Quando i proventi dell’attività social sono maggiori, invece, i guadagni dovranno essere versati «su un conto corrente intestato al minore protagonista dei contenuti». E non potranno essere utilizzati «in nessun caso da chi esercita la responsabilità genitoriale sul minore, salvi eventuali casi di emergenza nell’esclusivo interesse» del bambino e «previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria minorile». Infine, viene prevista la creazione di un numero d’emergenza ad hoc, il 114, una sorta di “telefono Azzurro” da realizzare con una piccola tassazione del fatturato (lo 0,035%) delle grandi piattaforme web. E anche i marchi che utilizzeranno come sponsor gli influencer ragazzini dovranno «verificare il rispetto» di queste condizioni.