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Vi ricordate quando Pavel Durov il fondatore di Telegram mandò a fanculo Putin?

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Per fronteggiare le proteste che nel 2011 si diffondono per tutta la Russia, l’Fsb, i servizi segreti russi, chiede a […]

Per fronteggiare le proteste che nel 2011 si diffondono per tutta la Russia, l’Fsb, i servizi segreti russi, chiede a VKontakte di bloccare le pagine di sette gruppi che venivano utilizzate per organizzare le manifestazioni, ma da parte dei due fratelli arriva il primo no alle autorità. Una mattina Pavel si risveglia con l’Fsb fuori dalla porta, vuole imporgli la chiusura delle pagine e lui manda al Cremlino il secondo no, quello più famoso: twitta la foto di un cane che fa la linguaccia. Per un po’ il governo lo lascia in pace, VKontakte cresce, la società si arricchisce.

Nel 2012, Durov viene accusato dalle autorità di aver investito un agente della polizia in un incidente stradale. E’ la prima mossa del Cremlino per iniziare a minare la posizione del giovane imprenditore. Di lì a poco, Durov perderà il controllo della sua creatura. “VKontakte è scivolato nelle mani del governo, è stato tutto silenzioso e rapido”, racconta la nostra fonte. Dalla polizia le indagini passarono ai servizi segreti e due dei maggiori azionisti della società vendettero la loro quota, il 48 per cento, alla United capital partners, un fondo vicino al Cremlino.

Nikolai non possedeva più nulla dell’azienda già da tempo, al fratello era rimasto il 12 per cento. Pavel decise di vendere le sue quote, pur rimanendo amministratore delegato, infine fu licenziato dall’azienda da lui fondata e con la sua ormai nota irriverenza social salutò VK via Instagram con un dito medio. E’ la fine del 2014. Ancora oggi, però, è iscritto a VKontakte. Tanti e tali rimangono i misteri, che a tre giorni dall’arresto in un aeroporto francese qualcuno comincia a chiedersi se in fin dei conti Pavel Durov abbia deciso di consegnarsi spontaneamente assieme ai segreti del sistema di messaggi Telegram. Un ponte delle spie fai da te, ponte aereo in questo caso, jet privato partito da Baku e atterrato sabato sera a Bourget, scalo minore di Parigi, fra le braccia dei gendarmi. Mandato di arresto per concorso in decine di reati commessi sulla sua piattaforma, accuse vaghe al punto da costringere l’Eliseo a intervenire sul caso: non si tratta di decisioni politiche, ha scritto ieri pomeriggio il presidente, Emmanuel Macron.

È raro che un capo di stato tratti in prima persona le vicende di un singolo cittadino. Con Durov sono in due ad averlo fatto in poche ore. Sempre ieri, prima di Macron, il portavoce del Cremlino aveva smentito le voci su un incontro con Vladimir Putin la settimana scorsa in Azerbaigian. Nessun commento, però, sull’ipotesi […] che Durov avesse chiesto di vedere di persona Putin. Destino ammaccato di un figlio della nomenklatura sovietica, trentanove anni, muscoli da star del fitness, infanzia fra San Pietroburgo e Torino, le città in cui il padre aveva insegnato filologia, e passaggio poco più che adolescente dagli studi in lingue straniere al grande business dei tempi moderni: internet.

L’idea di costruire Telegram, una fortezza digitale a prova di intrusioni esterne, l’aveva avuta nel 2011 dopo un incontro con i servizi segreti. Quelli gli chiedevano l’identità di oppositori iscritti a VKontakte, la versione russa di Facebook grazie alla quale era entrato nel 2006 nell’universo dei nuovi milionari. Lui gli aveva opposto il dito medio in senso figurato e pratico. Estromesso da Vkontakte, abbandonata la Russia, Pavel aveva messo al lavoro Nikolaij. Un progetto romantico: tenere gli apparati degli stati autoritari fuori dagli scambi fra privati cittadini. E un business plan dalle enormi potenzialità: nell’epoca in cui basta un motore di ricerca per ottenere informazioni su qualsiasi individuo, la segretezza deve avere un valore enorme. Il valore, nel concreto, superata la soglia dei novecento milioni di utenti mensili, lo avrebbe stabilito fra non molto la Borsa di New York con una delle offerte pubbliche d’acquisto più attese degli ultimi anni.

Un Conto È La Sicurezza del sistema, e su quella Telegram ha offerto garanzie notevoli, diventando una delle app più usate dai cartelli della droga, dalle organizzazioni criminali e anche dai gruppi terroristici. Un altro conto sono i rapporti con i governi, un tema sul quale Durov si è mostrato più flessibile di quanto i suoi proclami non facessero pensare. Nel 2017 un tale di nome Akbarzhon Jalilov si è fatto esplodere nella metro a San Pietroburgo uccidendo quindici persone in nome di al Qaeda. Jalilov avrebbe colpito in Russia secondo ordini diretti di Ayman al Zawahiri, il successore di Osama bin Laden.

Ogni singolo passaggio gli investigatori lo avevano ricostruito dopo aver ottenuto l’accesso al suo account Telegram. Segno che, di fronte a precise circostanze, anche Durov era pronto a discutere le sue prerogative. Lo stesso ragionamento deve averlo portato, a partire dal 2022, a raccogliere gli inviti delle autorità europee e a bloccare sul territorio dell’Unione i canali dei network russi considerati organi di propaganda. Di Telegram Pavel Durov è stato il volto, il corpo e la voce. Rare le interviste, due quest’anno, una al quotidiano britannico Financial Times, l’altra a Tucker Carlson, la firma più nota della destra americana.

Poche le apparizioni pubbliche. Scarse e stravaganti le informazioni sulla sua vita personale. Per anni ha vissuto con Nikolaij e il suo team di programmatori cambiando città ogni settimana. Quattro i passaporti: uno russo, uno ricevuto dalle isole Saint Kitts and Nevis dopo avere donato 250.000 dollari agli sforzi per diversificare l’industria dello zucchero, uno degli Emirati e uno francese ottenuto nel 2021. Il mese scorso, attraverso il suo canale Telegram, Durov ha fatto sapere di avere almeno cento figli biologici nati attraverso le donazioni a banche del seme in una decina di paesi. Oggi in Francia è in stato di fermo. Ancora non è chiaro perché abbia deciso di atterrare a Parigi.

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