Audi chiuderà la sua fabbrica di auto elettriche a Bruxelles, attiva nella produzione dei suv Q8 e-tron, a febbraio 2025. La decisione sarebbe stata annunciata durante una riunione straordinaria del comitato aziendale. Lo riferiscono i media belgi. Il marchio tedesco, del gruppo Volkswagen, sarebbe in contatto con un potenziale investitore, attivo nei veicoli aziendali, che rileverebbe l’impianto belga travolto dalla crisi delle auto elettriche. Alcuni mesi fa Audi aveva annunciato l’intenzione di tagliare oltre 2500 posti, minacciando di chiudere i battenti in Belgio a causa delle “difficili condizioni economiche”.
La crisi tedesca colpisce il simbolo più noto della sua economia, la Volkswagen. Almeno tre stabilimenti in Germania dovrebbero essere chiusi, migliaia di persone rischiano di perdere il lavoro. Per tutti gli altri ci saranno riduzioni di stipendio, fino al 18 per cento.
È il consiglio di fabbrica, guidato dall’italo-tedesca Daniela Cavallo che ha dato ieri l’annuncio, precedendo le comunicazioni del management. Secondo Cavallo, si tratta di un «progetto di smantellamento di dimensioni storiche», di una «svendita».
Di storico c’è sicuramente che la Volkswagen, il più grande datore di lavoro in Germania, in 87 anni di vita non ha mai chiuso nessuno dei suoi stabilimenti tedeschi.
Per paradosso, l’incontro tra i sindacati e il Cda è fissato per domani, quando i metalmeccanici di IG Metal andranno a chiedere un aumento del 7% (da contratto nazionale), mentre l’azienda risponderà proponendo tagli per tutti almeno del 10%.
La cruda realtà della Volkswagen attuale sta invece nei numeri. Rispetto all’era pre-Covid, VW vende i Europa 500mila auto in meno. In breve, non c’è abbastanza lavoro per molti operai in tanti stabilimenti. Report non confermati dall’interno affermano che uno o più siti in Germania sono da tempo in perdita.
Finora i profitti elevati del mercato cinese avevano semplicemente mascherato il problema. Ma adesso sono crollati, quando la Volkswagen è stata superata dai produttori di auto locali. Ed è tutto il settore dell’auto tedesca a essere in crisi: ossia, un’industria che vale 564 miliardi, quasi un terzo del Pil italiano.
Il governo di Olaf Scholz, socialdemocratico, si schiera con il sindacato: «Non sono i dipendenti che devono pagare le scelte sbagliate», ha detto ieri il suo portavoce. Ma in questo autunno caldo per la Germania, con scioperi alle porte, la VW è solo la più difficile delle crisi che il cancelliere si troverà ad affrontare.
Tutto il gruppo che riunisce Porsche, Audi e altri marchi storici è in difficoltà, ma la crisi riguarderebbe soprattutto Volkswagen. E secondo indiscrezioni, gli stabilimenti in bilico sarebbero Emden e Zwickau, ma anche fabbriche più piccole come Osnabrueck e Dresda.
Cavallo ha già annunciato battaglia: attenzione al rischio «escalation», ha ruggito davanti agli operai. Nei mesi scorsi, l’italiana aveva già puntato il dito contro «la mancanza di un piano complessivo », per il rilancio del gruppo, stretto tra la concorrenza cinese e l’aumento vertiginoso del costo del lavoro.
Ma Arno Antlitz, direttore finanziario Vw, aveva parlato di 500 mila vetture in eccesso prodotte in Europa, e 300 mila del marchio ‘core’. E aveva già minacciato la chiusura di due dei dieci stabilimenti tedeschi.
A settembre, in una sorta di prodromo della catastrofe, Wolfsburg aveva decretato a fine della trentennale Jobgarantie, la tregua occupazionale: dal 2025 i licenziamenti saranno di nuovo possibili. In Germania, Vw impiega 120 mila lavoratori. Da anni anche i governi tedeschi di ogni colore avvertono vertici Vw che stanno accumulando mostruosi e colpevoli ritardi sulle nuove tecnologie.
Leggendario fu lo sfogo dell’ex ministro dell’Economia dell’ultimo governo Merkel, Peter Altmaier, che in una riunione con i big dell’auto sbottò, «ma non riuscite a fare una macchina elettrica sexy? ». Il suo successore, l’attuale vicecancelliere Robert Habeck, ha criticato il management Vw per aver cominciato a produrre macchine elettriche nel comparto più lussuoso, quello delle auto da 100mila euro.
Fino a poco tempo fa, l’azienda esportava 4,3 milioni di automobili in Cina; con il rallentamento dell’economia del Dragone e la propensione sempre più diffusa dei cinesi di comprarsi macchine elettriche prodotte in patria, il colosso tedesco ha sofferto perdite enormi. Perdite che si aggiungono a quelle registrate dopo il Covid.
Anche ieri il governo Scholz ha reagito male alle rivelazioni di Cavallo – né confermate né smentite dall’azienda, che vuole rivelare dettagli solo dopo averli negoziati con i sindacati. Un portavoce del cancelliere, Wolfgang Buechner, ha accusato apertamente i vertici «per decisioni manageriali sbagliate», e ha aggiunto che «i lavoratori non dovrebbero pagare» per quelle scelte errate.
Il governo è in contatto con l’azienda, ha aggiunto. E oggi Scholz si vedrà con alcune aziende e i sindacati per parlare della recessione. Ed è probabile che spinga Vw verso soluzioni meno drastiche: l’esecutivo è sull’orlo di una crisi, le voci di un possibile voto anticipato a marzo si fanno sempre più insistenti.
E la crisi del marchio-simbolo dell’industria tedesca rischia di diventare il principale argomento della campagna elettorale. Il governo della Bassa Sassonia, peraltro, è un’azionista importante del gruppo. Dopo che Cavallo ha fatto capire che i sindacati sono già sulle barricate, il primo confronto tra azienda e sindacati è previsto per domani. L’argomento ufficiale è l’inizio del negoziato per il rinnovo del contratto. Ma è chiaro che si parlerà di urgenze più drammatiche.